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Qui Roma... Se le pietre potessero parlare...!

È un modo di dire, ma a Roma succede davvero. Come...? Quando...? Cosa...? Chi...? È una storia curiosa questa, una storia romana, un lato insolito della Capitale. Roma è un luogo dove la storia ufficiale si intreccia alla vita delle persone ed è difficile individuare i confini e scinderle; questa storia ne è la dimostrazione.

 

Partiamo da loro, dalle pietre, o meglio da alcuni marmi scolpiti, statue di epoche diverse ritrovate in circostanze diverse, in quel secolo d’oro di riscoperta del mondo antico e di grandi scavi archeologici che fu il Rinascimento; alcune di queste statue divennero e sono tuttora “le statue parlanti di Roma”.


Personaggi che sono tornati a vivere, a prescindere dalla loro vera storia, ribattezzati con il soprannome che gli ha dato il popolo, del quale sono divenuti portavoce quando in quello stesso periodo storico il potere era particolarmente opprimente (era la Roma del “Papa-Re” che deteneva sia il potere spirituale sia quello temporale), non esisteva la libertà di espressione e dissentire significava rischiare la vita... Loro furono la vera Vox Populi!

 

Come? Nottetempo i più arditi gli appendevano al collo o poggiavano ai piedi foglietti anonimi contenenti satire in versi per farsi beffe dei personaggi pubblici più importanti, appartenenti alla nobiltà romana o addirittura alla corte papale, o contro chiunque meritasse il biasimo per il cattivo operato o azioni immorali.

 

Attraverso le statue parlanti la critica politica anonima si diffuse per la prima volta su larga scala. Quando la città si svegliava gli abitanti del quartiere leggevano, la voce correva subito di bocca in bocca e presto tutta la città sapeva cosa ne pensava il popolo di ciò che stava accadendo; si esprimeva così, con tono di sfida e di provocazione, il malcontento popolare nei confronti del potere e l’avversione verso la corruzione e l’arroganza dei suoi rappresentanti.

 

Queste nostre statue sono sei, ognuna conosciuta con il suo soprannome la cui provenienza resta incerta: Madama Lucrezia, unica rappresentante femminile, Marforio, il Babuino, il Facchino, l’Abate Luigi e... Pasquino, il capobanda!

 

Ognuno di loro diceva la sua e questa banda di sei liberi pensatori di pietra dalla lingua lunga è conosciuta come il Congresso degli Arguti.  

 


Fin qui potrebbe considerarsi “folklore”, perché ancora non abbiamo parlato dello stile di questi messaggi, che ci racconta molto del carattere dei romani; da un lato indomito nei confronti del potere dall’altro ironico e scanzonato. Hanno sempre dimostrato la loro insofferenza verso i soprusi con un umorismo mordace e sferzante.


La satira è da sempre un tratto tipico dei romani; come disse Giovenale, il più prolifico in questo genere: “satira tota nostra es”, nel senso “siamo noi romani ad averla inventata” e di fatto i Greci non ce l’hanno.


Fu così che, mentre i Greci divennero famosi per orazioni e tragedie, quindi per una forma letteraria colta, a Roma ebbe un certo successo una letteratura più caustica, dissacrante e impertinente che in questo caso, con le statue parlanti, diede vita ad un vero e proprio genere letterario.


Poiché tutto partì da Pasquino queste uscite on air presero il nome di “Pasquinate”. L’origine del suo soprannome è ricondubile forse a un barbiere o sarto della zona che serviva nobili e prelati, ascoltava i pettegolezzi e li faceva circolare con battute pungenti, o forse al periodo pasquale in cui comparvero le prime affissioni.


Tutto iniziò nel 1501, nei pressi di Piazza Navona, nella zona più popolosa della città dove passavano le processioni e le sfilate di ricchi e potenti, ad un passo dall’Archiginnasio della Sapienza (la prima Università di Roma), sull’angolo del palazzo nobiliare ex Orsini appena acquistato dal Cardinale Oliviero Carafa, frontale alla piazza; quella piazza frequentata da librai, scrittori e artisti, che allora si chiamava Piazza di Parione (il nome del rione) e oggi si chiama invece Piazza di Pasquino. Questo dice tutto...


Queste tre condizioni geografico-temporali, che apparentemente sarebbe superfluo raccontare, furono la miscela esplosiva che diede fuoco alla miccia. Il Cardinale fece risistemare la piazza su cui affacciava il palazzo e fece collocare su quell’angolo bene in vista una statua ritrovata nei pressi (che prima di allora era stata utilizzata come marmo da pavimentazione stradale, voltata a faccia in giù, di schiena!) restituendola alla visione pubblica come gesto di magnanimità e di prestigio. Contemporaneamente la vicina Università organizzava certami, gare poetiche, tra gli studenti di letteratura e di retorica, arti che comportavano un uso letterario importante della parola, i quali prevedevano l’affissione pubblica dei componimenti in giorni particolari e luoghi deputati a questa funzione. Uno di questi era proprio il basamento di palazzo Carafa, cinto di sedili marmorei che per l’occasione venivano ricoperti in velluto e con l‘arrivo della statua si cominciò a vestirla con abiti togati o come un personaggio del mondo antico pertinente al tema assegnato cui si dovevano ispirare.

 

Fu quello il momento in cui i due livelli della storia si intrecciarono per sempre, fino ai giorni nostri.


Il popolo del quartiere non si fece sfuggire l’occasione... Colse al volo l’ispirazione e prese ad esprimersi “poeticamente” affiggendo i propri versi alla statua che divenne il luogo dove il gusto della satira trovò la sua bacheca ideale; del resto, si trovava proprio sulla via papale!

 

Il tono provocatorio e di sfida irritava non poco i destinatari e nel tentativo di fermare questa pratica furono emesse leggi severe, la statua venne messa sotto sorveglianza e si narra che vi fu un Papa (Papa Adriano VI, 1522-1523) che minacciò di gettare Pasquino nel Tevere, ma fu ricondotto a più miti consigli, sapendo bene che le critiche non si sarebbero fermate ma sarebbero diventate ancora più aspre.

 

Le Pasquinate venivano sia dal popolo che dalle persone colte, con stile ora pungente e arguto, ora volgare e maldicente; non furono mai semplici invettive ma veri componimenti poetici, in dialetto, in italiano aulico o in latino, sempre pervasi dal tipico sarcasmo romanesco. Si ha persino notizia di Pasquinate commissionate a poeti professionisti (Pietro Aretino!) e il paradosso fu che i committenti furono a volte prelati e nobili che volevano diffamare coloro che detenevano il potere per subentrare ad essi. Insomma, divennero mezzi di propaganda elettorale!

 

Nel frattempo, Pasquino non era più solo e il gioco (neanche tanto...) si fece più divertente perché le statue iniziarono a parlare tra loro. Un esempio? Famoso è il “botta e risposta” in occasione delle razzie di tesori perpetrate a Roma da Napoleone, all’inizio dell’Ottocento: Pasquino buttava lì dal Parione una domanda (compariva su di lui un foglio): “È vero che i Francesi sono tutti ladri?” e Marforio rispondeva dal Campidoglio: “Tutti no, ma Bona Parte”.

 

Marforio (da Martis Forum, poiché la statua fu ritrovata nei pressi del tempio di Marte, nel Foro romano ) era considerato l’interlocutore e la "spalla" di Pasquino (nel linguaggio romano “il compare”, suo complice) mentre il Babuino dal rione Campo Marzio entrò in competizione e ci fu un momento in cui si accennò a chiamarle “Babuinate”, ma il primato del Parione rimase indiscusso.


Invece, l‘Abate Luigi (dal nome forse del sagrestano della vicina chiesa del Sudario, noto per lo spirito arguto) divenne il simbolo di uno specifico malcostume, la personificazione del camaleonte politico, a causa della sua testa più volte rubata e sostituita con altre sempre diverse (mai la sua quindi...) provenienti dai depositi comunali; parlò per l’ultima volta nel 1966 con questi versi in dialetto romanesco:

 

«O tu che m’arubbasti la capoccia

vedi d’ariportalla immantinente

sinnò, vòi véde? come fusse gnente

me manneno ar Governo. E ciò me scoccia».

 

(“Tu che mi hai rubato la testa, riportamela subito, altrimenti può succedere facilmente che mi mandino al Governo. E questo non mi piacerebbe”).

 

Una delle Pasquinate più celebri, tanto da entrare nel linguaggio comune, fu indirizzata a Papa Urbano VIII della nobile famiglia Barberini, che fece spogliare la copertura bronzea del Pantheon per la realizzazione del baldacchino del Bernini nella Basilica di San Pietro e di 80 cannoni per Castel Sant’Angelo: "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" ("Quello che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini”).

 

Si potrebbe proseguire all’infinito, sono tantissime e se le conosciamo tutte è perché c’è sempre qualcuno che si prende la briga di raccogliere tutti i foglietti e consegnare l’opera all’editoria. Queste raccolte, ovvio… si chiamano Pasquilli.

 

La produzione delle Pasquinate è durata ininterrottamente fino alla caduta del potere temporale dei papi e in forme più blande e saltuarie è proseguita fino ai giorni nostri, alternando momenti in cui le statue sembravano aver perso la parola... ma nel corso della storia nessuno è sfuggito al severo ed implacabile giudizio delle statue parlanti, né Mussolini né Berlusconi!

 

Ancora oggi, nell’era dei media digitali, il basamento di Pasquino continua ad essere coperto di messaggi ironici e provocatori.


A pensarci bene, le Pasquinate sono l’equivalente degli attuali “meme” perché avviarono una comunicazione condivisa, indipendente e democratica, anticipando di fatto il principio che ispira i moderni social network.



P.S. Un ringraziamento a Maria, angelo sulla mia via... senza la quale non avrei fotografato Marforio!



Per saperne di più, su ognuno di loro:


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