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Qui Roma… Gettando una monetina nella Fontana di Trevi

Updated: Nov 3


Diciamo la verità… questo gesto venendo a Roma è una tappa obbligata, dopo il Colosseo; la monetina va lanciata di spalle nella fontana ad occhi chiusi esprimendo un desiderio, quello di tornare un giorno a Roma. Che ci si creda o no, ci si accalca comunque intorno alla vasca avvicendandosi a turno per farlo e fare la foto; la folla riempie la piazza ormai senza ore morte, anche la notte. Unico intervallo quando la fontana viene svuotata per la raccolta delle monetine (un aspetto da approfondire) e per la manutenzione.


Del resto, lo scenario è di una bellezza imponente e ormai associato per sempre alla scena entrata nel mito degli anni d’oro del cinema italiano, in cui nel cuore della notte Lei, bellissima e sensuale, entra nella fontana in abito da sera e chiama Lui a raggiungerla: “Marcello… come here…”. Lui e Lei sono Anita Ekberg e Marcello Mastroianni nel film La dolce vita di Federico Fellini. Se non l'avete ancora guardata, fatelo adesso (cliccate QUI): è indispensabile per vedere la fontana in tutta la sua magia, come non l’avete mai vista. Ne abbiamo un vago ricordo noi romani nati in quegli anni, in cui si andava lì di notte, a concludere una serata davanti alla bellezza assoluta.


Capolavoro settecentesco dell’Architetto Nicola Salvi, vincitore del concorso, secondo l’impostazione magistrale della piazza ideata da Gian Lorenzo Bernini… ecc… ecc... (trovate tutto su Internet), ma qualcuno si domanda mai “tutta quell’acqua da dove arriva?…”. Ecco la notizia di oggi: la fontana forse più famosa del mondo è il terminale dell’acquedotto più antico del mondo, l’unico ancora funzionante dopo 21 secoli, dal 19 a.C.: l’Acquedotto dell’Acqua Vergine. La parola terminale è efficace, ma tecnicamente si chiama “mostra” la fontana monumentale che segna la fine del percorso di un acquedotto, distribuendo acqua alla città e mostrando a tutti la grandezza dell’opera e del suo committente.


Questa notizia ci dà lo spunto per parlare della grandezza di quello che non si vede e a cui non si pensa a Roma, che era conosciuta come “regina aquarum” per la rete di ben 11 acquedotti ad alimentare la più grande città del mondo antico (un milione e mezzo di abitanti) in continua espansione. Queste infrastrutture costituirono il più complesso e vasto sistema idrico che mai città all’epoca avesse conosciuto e divennero uno dei simboli della grandezza e della capacità tecnica che elevarono la città eterna a Caput Mundi.


Si cercavano le sorgenti d’acqua nel territorio circostante e da lì la conducevano alla città con un ingegnoso sistema di condotti (da cui il nome di Via dei Condotti, oggi la strada delle grandi firme) che si snodavano per chilometri, sostenuti da archi a cielo aperto di varie altezze per creare le pendenze giuste e poi proseguire interrati nel sottosuolo della città e distribuire l’acqua alle esigenze principali: innanzitutto le terme (non c’era il bagno in casa, quindi era una pratica quotidiana per tutti oltre che luogo sociale), le residenze imperiali e dei patrizi, le fontane pubbliche (una ogni 80 mt.), botteghe, abitazioni e fontane… più di mille fontane e più di duemila fontanelle da cui abbeverarsi. Infine, condotte sotterranee raccoglievano quella usata e la riunivano alla piovana convogliando il tutto nella cloaca maxima.


Furono le invasioni barbariche a distruggere tutto questo per assetare la città durante gli assedi e per un bel po’ si dovette tornare ad attingere l’acqua al Tevere e ai pozzi. In quel periodo tornò in auge l’antico mestiere dell’acquaiolo che portava l’acqua potabile a domicilio (ricordate il Facchino con la sua botticella… una delle statue parlanti?).


Solo nel Rinascimento, con la Roma Papale, ripresero le grandi opere urbanistiche, tra cui il ripristino per quanto possibile dei vecchi acquedotti e la costruzione di nuovi; la città ebbe di nuovo acqua in abbondanza e prese così a dotarsi di fontane, vasche, mostre, fontanili, fontanelle, abbeveratoi in una sorta di gara tra pontefici, ordini religiosi e nobili casate romane a chi commissionava ai cosiddetti “fontanieri” l’opera più mirabile. L’acqua fu elemento ideale per la fantasia di scultori ed architetti e le nuove fontane divennero una delle più suggestive celebrazioni del potere.


Fu quindi nel 1732 che Papa Clemente XII dispose la ricostruzione del tratto distrutto dell’Acquedotto dell’Acqua Vergine e bandì il concorso per la progettazione della sua mostra: Fontana di Trevi (da Trivium, trivio di strade, luogo della fonte). Sul fatto che si chiamasse “Vergine” come al solito a Roma realtà e leggenda si intrecciano e neanche vale la pena distinguerle perché in fondo fanno parte entrambe della cultura collettiva. Che sia stata una “virgo” (fanciulla), o una ninfa protettrice delle acque, ad indicare la fonte ai soldati romani o che il nome indichi la purezza dell’acqua non vi sono fonti certe ma poco importa. “Come è… come non è…” (modo di dire nel parlato italiano) l’acqua era effettivamente pura, leggera e priva di calcare (è proprio questo che ha preservato l’acquedotto così a lungo dal deterioramento) e “fatto sta” (altro modo di dire) che la scena della “Virgo/Ninfa” che mostra la fonte ai soldati è scolpita sopra la fontana. Ecco realtà e leggenda che convivono.


Scommetto che sono pochi quelli che trovandosi a bocca aperta in contemplazione di tale capolavoro si soffermano a leggerne i dettagli, quel che conta è l’emozione che provoca. In fondo è questo che fanno le opere d’arte. Ma ogni opera contiene un messaggio e in queste opere monumentali è quello di un committente che vuole mostrare e scolpire nella storia la grandezza del suo operato e assegna all’artista prescelto il compito della narrazione. In questo caso bisogna riconoscere che il messaggio di magnificenza è arrivato forte.


Leggiamo quindi cosa ci mostra questa scultura immensa: protagonista è il mare, l’immensa vasca che occupa tutta la piazza e finisce contro la scogliera resa viva da animali e piante. Al di sopra la divinità Oceano (dio del mare, dei terremoti, delle fontane e dei cavalli) alla guida del cocchio a forma di conchiglia trainato da due cavalli, uno calmo e uno agitato, proprio come è il mare, governati da due tritoni. Accanto a lui due figure femminili allegoriche, abbondanza e salubrità, riferite agli effetti benefici dell’acqua; al livello superiore due bassorilievi rievocano la storia dell’acquedotto: la fanciulla che mostra la fonte ai soldati e nell’altro Agrippa (genero di Augusto, il primo imperatore romano) che decide la costruzione di questo acquedotto più di 2000 anni fa… Storia arte e natura si fondono.


Ma, tornando al percorso dell’acqua, per vedere l’acquedotto oggi occorre prima salire al Pincio (il punto più alto della zona e anche il più panoramico) dove l’acquedotto giungeva in città, per poi scendere a circa 27 metri nel sottosuolo partendo dal pozzo di accesso che ancora oggi si trova lì. La scala a chiocciola è ancora quella antica romana e il percorso sotterraneo conduce fino alla Fontana di Trevi dove si conclude. Non è un’esperienza accessibile a tutti, solo agli addetti ai lavori, c’è però un famoso documentario in cui il noto divulgatore Alberto Angela, con tanto di stivaloni fino alla coscia (immagine rimasta iconica per milioni di telespettatori), percorre l’acquedotto fino alla fontana… fino ad affacciarsi scenograficamente da una finestrella della cabina tecnica che si apre accanto al cocchio di Oceano direttamente nella fontana! Con lui potete farlo anche voi (cliccate QUI).


È invece visitabile, a pochi passi, l’area archeologica sotterranea del Vicus Caprarius che ha portato in luce casualmente durante il cantiere di ristrutturazione di uno storico cinema (ex Cinema Trevi) un serbatoio di distribuzione dell’acqua, ancora oggi alimentato dall’acquedotto, che ancora oggi alimenta altri capolavori nel cuore del centro: la Fontana dei Quattro Fiumi (simbolo dei continenti allora conosciuti) a Piazza Navona e la Barcaccia ai piedi della mitica scalinata di Piazza di Spagna.



Va reso merito all’ente proprietario del cinema che a fronte di un progetto imprenditoriale di trasformazione in multisala ha dato priorità ai resti archeologici optando per altra soluzione che comprende la sistemazione degli scavi, rendendoli fruibili con un sistema di passerelle e un piccolo antiquarium dei ritrovamenti (anfore, monete, sculture, vasi). Attraverso questi reperti e tutta la stratigrafia delle differenti epoche del tessuto urbano venuto in luce gli archeologi possono aggiungere tasselli alla comprensione del passato, che noi ora possiamo immaginare.



Ecco quello che non si vede, a Roma si cammina sull’ultimo strato di una “millefoglie”; questa definizione non è mia ma di Alberto Angela, talmente calzante da essere imperdibile nel caso non guardaste il documentario. Come in questo famoso dolce, come si fa a mangiarlo tenendo gli strati separati…? bisogna morderlo tutto, è così che a Roma passato e presente convivono e si mescolano allegramente!


Un esempio? Se avete già gettato la monetina e quindi state tornando a Roma, questa volta fate cosi: dopo aver osservato Oceano sul suo cocchio con altri occhi, andate in Vicolo del Puttarello e scendete a visitare l’area sotterranea per ascoltare il suono antico e attualissimo dell’acqua Virgo che scorre, poi fate una salto al palazzo della nuova Rinascente di via del Tritone, tempio dello shopping di lusso, e scendete al piano -1 dove tra le avanguardie del design e della profumeria troverete anche gli antichi archi dell’acquedotto distrutto, in una zona di osservazione allestita con una proiezione descrittiva. Poi però risalite fino all’ultimo piano dove vi aspetta una vista mozzafiato sui tetti di Roma, per un brunch o un caffè.



P.S. Dimenticavo… e le monetine? La raccolta ammonta a circa 3.000 euro al giorno, chevengono distribuiti ai più bisognosi attraverso la Caritas in accordo con il Comune di Roma (ma in passato non era raro vedere pescatori amatoriali all’alba…).



Per saperne di più:

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