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Qui Roma… Il futuro incontra il passato nelle "Archeostazioni"


“Viaggio al centro della terra”, “Incontri ravvicinati”, “Ritorno al futuro”… Quanti titoli si potrebbero dare allo short-film di una giornata romana, in cui vivendo intensamente il nostro presente scendiamo di 50 metri sottoterra, incontriamo i nostri antenati, per poi risalire e andare in ufficio?


Sta per accadere qui a Roma, dove passato presente e futuro si stanno allineando sulla linea C della nuova metropolitana, che non viaggia solo nello spazio urbano ma anche nel tempo. Una struttura di trasporto all’avanguardia che nel tratto centrale, attraversando il centro storico, apre una finestra sotterranea sulla Roma Antica con le "Archeostazioni", poli museali sotterranei che diventano un nuovo spazio urbano aperto ai cittadini e a tutti gli utenti della metropolitana o del museo ipogeo. 

 

Entrando nell’atrio della stazione, prima ancora di fare il biglietto, quindi a disposizione di tutti, troviamo la comunicazione multimediale che descrive il progetto e la sua realizzazione, ai livelli intermedi le teche che espongono i reperti più significativi, proprio come in un museo… ma con il biglietto di un viaggio in metro.  Questo significa veicolare la cultura a centinaia e migliaia di persone seguendo i passi di tutti.



Conciliare la vita di superficie e la storia sepolta nel sottosuolo ha sempre rappresentato una difficoltà nell’adeguare Roma agli standard di modernità delle capitali europee, perché è proprio l’unicità del suo patrimonio storico a renderla tra le più frequentate e nello stesso tempo tra le più difficili da gestire.


Più che mai questo anno giubilare ha reso evidente la necessità di adeguamento della rete dei trasporti. Pellegrini, turisti, residenti, pendolari… arrivano e si concentrano nei luoghi iconici del centro storico, provenendo dall’estero o da altre regioni, o più semplicemente dalle zone periferiche della città; quindi si spostano e i mezzi di superficie non bastano più, dovendo superare l’ostacolo del traffico lungo i loro percorsi obbligati; finora possedevamo solo due linee di metropolitana (A e B) in croce, rispetto alla rete di trasporti veloci delle altre capitali. La complessità tecnico-realizzativa a Roma è massima, perché quando scavando si incontrano reperti archeologici vanno salvaguardati e in genere pensiamo “vasi”... non una intera caserma romana di 1750 mq del II secolo d.c.!


I materiali archeologici sono preziosi sempre, proprio perché ci consentono di ricostruire condizioni e contesti di un passato dimenticato sul quale si sono fondate le epoche successive, sino ai giorni nostri; quel rapporto prezioso tra passato e presente su cui si fonda l’identità della città contemporanea. Ciò che viene costruito è sempre legato all’uomo, alle sue idee e alla sua storia, ciò che viene salvato diventa racconto comune con cui entriamo in contatto ogni giorno, la cultura è alla base delle nostre esistenze.


Le stazioni-museo ipogee della metropolitana sono quindi come un grande pozzo che riporta alla luce i frammenti e le storie di un passato remoto, memorie dal sottosuolo che ci parleranno in eterno, un nuovo modo di vivere la Capitale e di raccontare la sua storia.


Realizzare la terza linea metro di Roma è una grande sfida, alla quale le istituzioni responsabili dei vari aspetti stanno rispondendo con un approccio innovativo, avendo stabilito un doppio obiettivo condiviso: rendere più vivibile la città e rendere fruibile questo patrimonio storico che finora è stato soprattutto “conservato” grazie al costante presidio della Soprintendenza Archeologica ai Beni Culturali. Grande merito questo, che ha permesso di non distruggere nulla, almeno da un certo punto in poi, come invece è accaduto negli sventramenti precedenti del regime fascista per i quali abbiamo perso tutto il tessuto storico lungo i fori imperiali verso il Colosseo e lungo via della Conciliazione verso San Pietro, per citare solo i casi più eclatanti del prezzo pagato per la modernità di Roma in quel periodo.


Oggi si sta andando oltre tutto questo, perché c’è il Ministero della Cultura che presiede e ci sono i fondi per scavare e costruire in modo diverso, ma soprattutto c’è la collaborazione illuminata tra tutti gli attori del processo: committenti e progettisti della rete underground, ditte realizzatrici e Soprintendenza ai Beni Culturali che detiene la Direzione Operativa Scientifica. Questa collaborazione tra i realizzatori di grandi opere e chi si occupa della conservazione del patrimonio storico e artistico della città ha permesso di fare un salto in avanti e scavalcare l’ostacolo del vincolo realizzativo trasformando il problema in un punto di forza. Come sempre accade, se i ruoli non diventano recinti le possibilità di soluzione diventano infinite e nulla si paralizza. Innovazione e collaborazione per la salvaguardia delle nostre radici.


Le talpe meccaniche hanno interagito con un patrimonio unico al mondo e l’unicità del territorio attraversato ha ispirato una metodologia progettuale dedicata e specializzata inaugurando così lo “scavo con modalità archeologica”. La costruzione delle stazioni e dei pozzi di aerazione ha reso necessaria l’asportazione di consistenti volumi di depositi archeologici sepolti, rappresentando una opportunità unica da un lato di aggiornare tutta la cartografia storica, acquisendo nuovi e importanti dati al fine di ricostruire la morfologia originaria di porzioni di territorio mai indagate prima (soprattutto a causa della profondità di giacitura delle stratigrafie antiche), dall’altro di definire soluzioni progettuali compatibili con il substrato archeologico. Nasce così per la prima volta in Italia il cosiddetto “Prontuario delle indagini archeologiche di seconda fase“che, dopo le indagini archeologiche preventive di prima fase propedeutiche alla progettazione definitiva, definisce per ogni sito le modalità di scavo da implementare alle diverse profondità e le modalità di asportazione dei rinvenimenti.


I ritrovamenti sono diventati protagonisti di una notevole valorizzazione del passato nel presente con gli allestimenti museali all’interno delle stazioni più centrali, appunto le Archeostazioni: San GiovanniPorta MetroniaColosseo-Fori Imperiali e la futura stazione Venezia, la più imponente e complessa, oggi il maggiore snodo di traffico nel cuore del centro e futuro snodo anche per i musei circostanti (Palazzo Venezia, Vittoriano, area archeologica dei Fori).


Il suo volume complessivo, che scende alla profondità di 45 mt, è tale che possiamo immaginarla equivalente ad inserire il Vittoriano nel sottosuolo. È molto interessante il video che illustra le fasi di scavo e costruzione dell’edificio sommerso con il nuovo metodo del “Top-Down Archeologico”, ove per proteggere i reperti si procede al contrario del metodo classico dal basso verso l’alto.


Ecco perché da un po’ di tempo arrivando in centro sembra di entrare in un grande cantiere, di cui purtroppo si percepiscono solo i disagi: deviazioni del traffico, foto-souvenir con il cantiere sullo sfondo invece che antiche colonne, ponteggi e recinzioni che sembrano aver preso il sopravvento sul fascino delle rovine imperiali. Istintivamente ne siamo infastiditi e ci domandiamo perché impieghino tanto tempo e non siano ancora finiti i lavori. Non ci si domanda altro… Ma quando ci saremo dentro, capiremo.


Al momento l’unica in cui posso farvi scendere con me è la Stazione San Giovanni, la prima aperta al pubblico; qui lo scavo ha riportato in luce i resti di una grande azienda agricola della prima metà imperiale (I secolo d.C.) che ci racconta molte cose sulla società romana antica: da come gestivano le acque di irrigazione dei terreni (con un grande bacino idrico che poteva conservare più di 4 milioni di litri d’acqua) alla coltivazione delle pesche da poco immesse dalla Persia nei mercati romani e destinate alle classi elitarie (a Roma le pesche si chiamano persiche, ecco perché). Ogni frammento racconta qualcosa, molto interessante anche l’esposizione del materiale ceramico di epoca moderna, tra i quali spicca un piatto con la rappresentazione di una sorta di "ambulanza” in uso nel ‘500.



Scendendo con le scale mobili prendiamo confidenza con la lettura di scansione temporale connessa alla profondità che apparirà in tutte le Archeostazioni e ci accompagnerà nella discesa verso i binari attraversando le diverse epoche. Lo stratigrafo è la chiave per comprendere questo viaggio a ritroso nel tempo; qui a San Giovanni si parte dalla quota -5 della città contemporanea, con l’inaugurazione della metro C nel 2018, e passando per la fondazione di Roma si scende fino ad una profondità di -27m che corrisponde a quando la presenza umana era lontana a venire e c’era un paesaggio diverso. Lo immaginiamo mentre attendiamo l’arrivo del treno guardando la decorazione a parete dove tra la folta vegetazione compaiono le zanne dell’elephas antiquus (elefante antico) che simboleggia l’età preistorica.


Poi arriva il treno… e si va in ufficio.


Le Archeostazioni sono il frutto di questa visione innovativa dove bellezza e funzionalità si uniscono; poli museali sotterranei dove il futuro incontra il passato, dove storia e bellezza conservate in silenzio per secoli tornano alla luce in uno dei più grandi cantieri d’Europa.

 

Del resto, l’ingegneria romana che ha resistito ovunque ai millenni non può tradire il suo DNA… e qui, dove è nata, quella moderna sta dialogando con la sua antenata.



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