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Il “successo sostenibile” della manifattura delle Porcellane Ginori: un modello societario del 1735

Updated: Apr 22, 2023

Letter to the Dante Alighieri Society Sydney, no. 1

27 ottobre 2020

di Riccardo Bencini*

Un esperimento geniale e un tantino stravagante. Con queste suggestive parole Ernesto Ragionieri ebbe a definire l’iniziativa imprenditoriale avviata nel 1735 dal marchese Carlo Ginori nella località collinare di Doccia in Sesto Fiorentino, distante otto chilometri da Firenze. Iniziativa che, a distanza di quasi tre secoli, continua a rappresentare indiscusso simbolo d’eccellenza nella produzione delle porcellane, trasformate in espressioni artistiche.

La celebre Manifattura è il risultato non soltanto di una idea illuminata del patrizio Ginori ma, soprattutto, di una conduzione ispirata e proiettata a quello che la recente versione del Codice di Autodisciplina delle società quotate definisce «successo sostenibile». Non è agevole riempire di contenuti questo neologismo di matrice anglosassone: successo sostenibile significa, in estrema sintesi, creare valore nel lungo termine, non soltanto per gli azionisti; tenere conto, secondo la definizione del Codice stesso, degli interessi dei c.d. “stakeholders” rilevanti per la società. Dunque assumere un ruolo sociale, valorizzare la comunità ed i valori che essa conserva, diventandone progressivamente parte osmotica.

Obiettivi strategici di «successo sostenibile» che si individuano nel ripercorrere i tratti salienti della storia della Fabbrica della Bellezza. Il punto di partenza era ben chiaro al fondatore Ginori: non sarebbe stato sufficiente l’acquisto delle attrezzature e degli strumenti di ogni genere per tornire, scolpire, modellare, dipingere. Neppure sarebbe bastato reperire i pregiati materiali a tal fine necessari, al tempo rari. Per realizzare il suo colto e raffinato progetto occorrevano le persone, ritenute l’«assetto» più importante dell’impresa. Occorreva, soprattutto, che i primi lavoranti, coloni analfabeti impiegati nell’azienda agricola della famiglia Ginori, fossero istruiti dai più esperti del settore affinché potessero imparare alla perfezione ogni fase della produzione delle porcellane: dalla lavorazione delle terre, alla cottura, sino alla decorazione. A questo scopo vennero finanziate numerose spedizioni navali dalla Toscana verso l’Oriente, e ingaggiati i maestri delle arti decorative provenienti dall’Austria, dalla Cina, dalla Francia. Fin dall’avvio, sotto il granducato dei Lorena, non mancarono le preoccupazioni contabili: dal 1748 al 1758 il deficit annuale registrato raggiunse i milletrecento ducati.

Nonostante ciò, al guadagno il fondatore della Manifattura anteponeva costantemente l’onore. Dal carteggio ancora oggi conservato nell’archivio di famiglia si apprende un costante flusso informativo fra Carlo Ginori ed i suoi abili collaboratori nell’intento di perfezionare ogni dettaglio tecnico per indirizzare la produzione della Manifattura verso livelli qualitativi elevati, anche in ambito internazionale. Con il passare degli anni, grazie alla straordinaria creatività d’ingegno ed alla abnegazione degli addetti – i quali tramandavano con orgoglio il mestiere alle successive generazioni – arrivarono i primi brillanti risultati, al punto che i capolavori dell’arte italiana riprodotti in porcellana erano ambiti da ogni famiglia reale. L’impresa acquisì pertanto solidità, soprattutto di carattere morale. Alla morte del marchese Carlo Ginori, avvenuta nel 1757, la Manifattura, avviata con l’impiego di pochi coloni, garantiva lavoro ad 80 artefici, esclusi i direttori ed il personale di fatica.

Anche il suo successore Lorenzo continuò a condurre la Manifattura con reale larghezza. Tali furono i capitali da lui impiegati per accrescere la fama dell’azienda che, spaventato egli stesso dalla cifra immensa che rappresentavano, volle che fossero bruciati i libri nei quali stavano scritte le uscite affinché, come egli disse «i posteri non dovessero ad esso rimproverare di averli gettati via o impiegati a sì picciol saggio». Pur senza lesinare denari, Lorenzo commissionò, tuttavia, ad un esperto economista francese l’incarico di svolgere una relazione tecnica dettagliata della Manifattura, che oggi potrebbe definirsi due diligence, volta a fotografare il suo stato economico nell’anno 1760 per capire come garantirne la continuità aziendale. Ancora una volta, non era tanto il guadagno ad ispirare la gestione dell’impresa, quanto il profitto declinato in valore a vantaggio della comunità. Proseguì indefessa l’opera di assunzione dei migliori esperti dell’epoca, di fidelizzazione dei lavoratori mediante la costruzione di abitazioni, collocate nelle vicinanze della Fabbrica e concesse in locazione a condizioni di favore, nonché l’istituzione di una scuola di disegno per incrementare la manodopera specializzata.

Nel 1781 le maestranze, salite al numero di 150, furono elogiate dal marchese Lorenzo con parole colme di calore e riconoscenza: «industriosi e abili manifattori, che quantunque nati nelle case rustiche di campagna di Doccia, sotto la continua scuola che si tiene nella Fabbrica, si sono resi e si rendono di padre in figlio atti alle diverse arti e mestieri». Tale adeguato assetto organizzativo venne preservato ed implementato dalle successive generazioni di nobili Ginori i quali ebbero l’intuizione di realizzare nel 1829 una società di mutuo soccorso per assistere gli operai caduti in malattia, nonché di creare una banda musicale ed altre attività ricreative per alleviare, nell’ottica del comune benessere, lo spirito dei tanti lavoranti. Nel 1865, anche a causa di una grave crisi dell’industria della paglia che impiegava le c.d. trecciaiole, il marchese Lorenzo II decise di assumere nella Manifattura, per la prima volta in Italia, personale femminile, così incrementando il numero degli addetti i quali continuavano a ritenersi privilegiati di imparare le tecniche di un mestiere così complesso. Crebbe parimenti il successo della Manifattura delle porcellane che, forte di uno stabile e filantropico assetto proprietario, nonché di un’efficientissima guida amministrativa, riuscì ad affermarsi in ogni parte del mondo, vincendo le più prestigiose competizioni d’arte internazionali.

Grazie alla fortunata iniziativa dell’imprenditore Carlo Ginori, proseguita dai suoi instancabili epigoni, la vita della celebre Manifattura si legò in modo indissolubile a quella degli abitanti di Doccia al punto da segnare, per oltre due secoli, le sorti, non solo economiche ma soprattutto culturali, della città di Sesto Fiorentino. Su impulso del marchese Ginori, il 9 marzo 1873 un decreto reale sancì l’istituzione a Sesto Fiorentino, prima in Italia, di una «Scuola di Disegno Industriale per i giovani che [volevano] prepararsi ad esercitare le arti decorative e più specialmente la ceramica». Superate le difficoltà del periodo napoleonico, delle guerre mondiali, degli attacchi nazisti volti a sabotare i macchinari e depredare le opere più preziose, nonché della dichiarazione di fallimento avvenuta nel 2013 da parte del Tribunale di Firenze, non resta che augurarsi che la Manifattura delle Porcellane di Doccia esca indenne anche dalla pandemia nella speranza di celebrare i trecento anni di longevità, così confermando il suo «successo sostenibile».

* Riccardo Bencini è Professore a contratto di Diritto Commerciale all’Università di Firenze e Avvocato del Foro di Firenze



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