Qui Roma…l’istante e l’eternità
- Silvana D'Intino
- May 18
- 6 min read
Updated: May 23
Quanto dura un istante e quanto l’eternità’? Solo in apparenza sono quantità definite. Einstein afferma che il tempo non è affatto ciò che sembra e non scorre in una sola dimensione; quindi, il futuro esiste contemporaneamente al passato.
Il calco di due vittime anonime dell’eruzione del Vesuvio, che l’archeologia ha restituito immobilizzate nel momento della morte, cristallizza l’eternità di un istante: se quell’istante entra nella storia diventa immortale.
Una riflessione sul tempo, per il quale i greci usavano tre parole distinte: Aion l’eterno / Kronos il tempo lineare e ciclico del cosmo e della vita umana / Kairos l’attimo fuggente, l’istante da cogliere.
La catastrofe di Pompei sigilla per sempre nella lava la vita di esseri umani che in un secondo escono dal loro Kronos ed entrano nell’Aion. Kronos si interrompe bruscamente e gli abitanti vengono proiettati nell’Aion fissandovi il loro tragico Kairos. L’eternità è nel congelamento di quell’istante che li proietta dal 79 d.C. fino a noi.
Questa riflessione mi risuona dentro da quando una mostra con questo titolo mi ha condotto in un percorso fuori dal tempo e dagli schemi di quello che solitamente offre una mostra, non solo promotrice di conoscenza ma anche di emozioni e soprattutto riflessione.
Allestita nel complesso archeologico delle Terme di Diocleziano dove alcune delle Grandi Aule, dopo decenni di chiusura, sono state riaperte al pubblico con una nuova fruizione all’interno del Museo Nazionale Romano ideatore del progetto Depositi (Ri)scoperti; qui venne messo in salvo il patrimonio artistico del giovane Regno d’Italia durante la Seconda guerra mondiale. Uno spazio espositivo di dimensioni e caratteristiche straordinarie di fronte alla stazione Termini, quella centrale di Roma, che ancora ne evoca il nome perché era lì la cisterna per l’enorme quantità di acqua necessaria al più grande impianto termale di epoca romana.
Uno spazio ideale quindi per entrare in rapporto con l’antichità. Ognuno di noi a Roma e in Italia in generale sperimenta il contatto con l’antico nel tessuto urbano delle nostre città, la storia è qualcosa che fa parte del nostro quotidiano perché, come scritto inaugurando questa rubrica, “sulla storia camminiamo e inciampiamo ad ogni passo”, non solo quindi sopravvivenza dell’antico ma spazi vissuti e quindi vivi.
Nell’ultimo decennio si è assistito in Italia a un profondo cambiamento dell’istituzione museale, per cui questa mostra indaga la relazione tra l'uomo contemporaneo e l'antichità secondo una logica espositiva del tutto nuova, mettendo in relazione l’ istante e l’eterno, l’effimero con il durevole, il mito con il quotidiano, attraverso una selezione di 300 reperti di eccezionale valore, alcuni appena scoperti e ancora inediti, provenienti dalle civiltà greca, romana, etrusca, italica, medievale, moderna e contemporanea.
Questo il fil rouge che collega queste opere, che ci parlano di come queste tre dimensioni del tempo siano presenti nella nostra contemporaneità e quindi nella nostra identità culturale; un affascinante viaggio attraverso il complesso legame che intercorre tra noi e il mondo antico, tra l’uomo e l’antichità, tra l’essere umano e il tempo. L'enigma che lega indissolubilmente condizione umana e tempo si riflette nelle opere che ogni civiltà antica ha lasciato di sé; opere che incarnano l’intenzione umana di sopravvivere al proprio tempo finito, di rappresentarsi, di raccontarsi.
L’allestimento di ingresso è di forte impatto, i due corpi delle vittime di Pompei sono la sintesi di tutto e il titolo della prima sala: “L’eternità di un istante”. Da qui si aprono due percorsi ciascuno inaugurato da strumenti pratici per orientarsi, oggetti d’arte di varie epoche (orologi, clessidra, sestante, bussola) che testimoniano la tensione inesauribile dell’essere umano a collocarsi in rapporto a tempo e spazio, a rendere ciò che è intangibile ed eterno un’entità misurabile. Nella dimensione temporale, ora percepita come un’eternità senza confini ora come un istante puntuale, si misura l’eredità del passato.
Nella sezione “La fama eterna degli eroi”, vediamo come l’arte richiama il mito quale forma di eternità. “Il Mito è qualcosa che non è mai accaduto, ma che in realtà accade sempre” (Sallustio). Non c’è un rigido mistero originario ma una profonda verità umana.
Il ritratto di Omero introduce al tema della trasmissione dei miti del ciclo troiano nel mondo greco, etrusco, romano e della sua eredità contemporanea, racconti orali e poi scritti di cui gli archeologi hanno ricercato le radici storiche. Seppur riferiti a tempi remoti caratterizzati da sistemi rituali, organizzazioni sociali e codici di valori ormai enormemente distanti, i sentimenti quali l’amicizia tra gli eroi, l’amore per i familiari, le sofferenze causate dalle guerre, corruzione, seduzione, vendetta, rendono i poemi omerici racconti universali e attuali.
I reperti esposti riconducono quindi al mito fondante della cultura occidentale, guerra di Troia e peregrinazioni di Ulisse, di cui è restituito nella mostra tutto il ciclo esponendo opere non contemporanee dal settimo secolo a.C. al ‘700 fino all’ arte contemporanea, non secondo una logica tipologica o cronologica bensì mescolando gli oggetti, proprio per far capire quanto il mito è eterno perché dura. Il giudizio di Paride che con una mela deve designare la più bella è nel vaso di Paros del settimo secolo a.C., nel calamaio del ‘500 di Faenza, come nel ‘700 torinese.
Il nostro rapporto con il tempo passa quindi attraverso il nostro rapporto con gli antichi e il loro messaggio: da un lato si sviluppa attraverso un lungo processo di trasmissione intellettuale e artistica che ha plasmato la nostra cultura classica, dall’altro è divenuto un legame di immedesimazione con individui che, pur se vissuti in epoche lontane, come noi hanno affrontato tutte le vicende della vita e ci trasmettono le loro emozioni e le loro esperienze attraverso voci e forme che giungono fino a noi.
“Un’eredità culturale che ispira la nostra filosofia contemporanea. Tradizione e modernità, due facce della stessa medaglia” (cit.: Ministro della Cultura )
Le civiltà del mediterraneo antico, con dinamiche culturali diverse, hanno lasciato tracce indelebili variamente interpretate nei secoli; gli oggetti esposti mostrano tipiche reinterpretazioni dei motivi classici, volgarmente “all’antica”, quei soggetti decorativi che ancora oggi sono nelle nostre case e sulle nostre tavole; diverse forme, popolari o colte, di reinterpretazione moderna dell’antico, personaggi e figure mitologiche sui servizi in porcellana creati in epoca moderna, fanno tutti parte della nostra enciclopedia di conoscenza e quindi della nostra identità europea che affonda le radici nella civiltà greco-romana; comunicazione visiva, pensiero filosofico, produzione letteraria che hanno attraversato con alterne vicende il tempo.
Conclude l’affascinante viaggio una eccezionale galleria di ritratti di individui anonimi. Dal 3000 a.C. al 300 d.C. le statue neolitiche si fanno via via più precise fino a rappresentarsi come divinità che messe a confronto mostrano le analogie e le differenze tra i popoli che hanno contribuito ad annodare le radici della nostra identità europea. Svetta e sembra vegliare su tutte la grande Kore (fanciulla) rinvenuta sdraiata a Santorini e ancora mai mostrata al pubblico, eccezionale reperto in prestito a testimoniare la collaborazione tra le istituzioni culturali del mediterraneo.
Se di tutto questo sto scrivendo oggi, a distanza di tempo da quella mostra, è perché in questi giorni più che mai qui a Roma si è fatta la storia e ognuno di noi c’era dentro, insieme a pellegrini, governanti e cardinali da tutto il mondo. Capita quindi, vivendo qui, di passare per via della Conciliazione, la strada maestra che culmina in Piazza S. Pietro, e trovarsi tra la folla che plaude all’annuncio “Habemus Papam!”
Come definire quell’istante in cui il cambiamento incrocia la storia di un singolo uomo e quella dell’umanità in cammino?
In questi pochi giorni appena trascorsi dalla Pasqua, nel bel mezzo di questo anno giubilare, siamo passati dal doloroso annuncio della morte di Papa Francesco, all’attesa speranzosa, fino al gaudium magnum per la salita di Leone XIV al soglio di Pietro. Ecco Kairos: l’stante della morte e l’istante che può cambiare la storia. Abbiamo fatto ore di fila calcando i sampietrini di P.zza S. Pietro o quelli dei Fori Imperiali per rendere omaggio al Papa che ci ha lasciato proprio il Lunedi dell’Angelo, nella Pasquetta “fuori porta” dei romani…abbiamo varcato la porta tra passato e presente, tra l’attimo dell’uomo e l’eternità della storia, mentre le nostre vite facevano il loro corso nel Kronos; le nostre come quelle di chi ha posato quei sampietrini, gioie e dolori, gli stessi sentimenti umani di ogni ciclo di vita che si ripete come le stagioni, il tempo dell’uomo e quello del cosmo.
Tutti quei volti intorno a me nella folla, tratti somatici di popoli diversi che recano le stesse espressioni davanti alle emozioni di quei momenti intensi rendono per me vive anche quelle dei marmi dell’ultima sala della mostra, dove osservando dal centro i ritratti disposti a cerchio intorno a noi ci si sente quasi osservati da loro: “abbiamo vissuto come voi, voi sarete come noi”. Perdersi tra la folla… perdendosi in questa riflessione...
Crediti fotografici
Parte delle immagini sono state estratte dal catalogo edito da Electa, partner della mostra.
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